“Il più potente istinto dell’uomo civilizzato non è l’autoconservazione, ma la ossessiva necessità di salvaguardare le proprie abitudini…..”
Il neurobiologo Alberto Olivieri scrive nel suo libro “l’Arte di Pensare” (1997) che la psiche è un complesso sistema che costruisce schemi neurobiologici ben architettati, corrispondenti poi alla visione della realtà e del mondo, e che utilizza in ogni giudizio e percezione, per ogni analisi e scelta, ogni decisione.
Il problema limitante è che il nostro giudizio non è altro che il continuo utilizzo e autorafforzamento degli schemi già in noi esistenti, o preconfezionati dal senso comune, e quindi delle nostre “mappe” sinaptiche abituali.
Questo processo chiuso in se stesso non permette invece un dinamico cambiamento degli schemi neuronali o addirittura la drastica innovazione degli stessi.
Il Dott. Olivieri parla allora di pensiero Laterale, cioè la possibilità di adottare anche forme di pensiero basate su associazioni casuali, intuitive e percettive, che producono idee che risultano logiche solo a posteriori, quindi non immediatamente vagliabili dal nostro giudizio e linguaggio.
Questo può avere senso però solo svincolandosi dal concetto di Intelligenza come immagine del lobo temporale sinistro del nostro cervello che nella sua complicata fitta rete neuronale ci porta alla logica dei significati, dei concetti e li ordina in linguaggio e convinzioni.
Intelligenza come “Esperienza”.
Dove l’”Esperienza” fisico-motoria-sensoriale è contemporaneamente quella neuro-endocrino-fisiologica.
Allora il neurofisiologo inglese Colin Blakmore dell’Università di Oxoford, invita tutti noi a sbloccarci dalle nostre ripetitive abitudini interpersonali e a concepire il nostro cervello come un organismo dotato di una plasticità inesauribile in grado di reagira agli stimoli modificandosi e adattandosi di conseguenza.
Quindi se il cervello si plasma attraverso le esperienze è evidente che più ci esperimentiamo nella vita e più il cervello sviluppa i suoi potenziali, espande le sue possibilità e non invecchia!
Ce lo dicono le neuroscienze dalle quali oggi, grazie alla loro recente esplosione con la tecnologia della RMN (risonanza magnetica funzionale) e della PET (scintigrafia ad emissione di positroni), sappiamo che il cervello non si può più definire una massa compatta e ripetitiva di sinapsi (attivazioni e collegamenti neuronali), ma verosimilmente un catalizzatore di inesplorate possibilità di connessioni neurobiologiche, considerando che ogni atto neuromotorio e psichico presuppone l’innesco di tanti possibili e differenti segnali elettrici e biochimici contemporaneamente.
Molti studi e neuroscienziati insistono attualmente sull’importanza dello sviluppo di facoltà “non verbali” per incidere sull’attività neuro-endocrino-sensoriale e quindi sulla trasformazione della nostra psiche o coscienza.
A tal proposito il neuropsicologo Ian Robertson, riabilitatore di pazienti con lesioni vascolari cerebrali, nel suo libro “L’intelligenza divina” (1976) affronta il tema del possibile utilizzo di esperienze psicocorporee e meditative della tradizione Yoga con cui accedere, ad attivazioni cerebrali legate alle sfera immaginativa e creativa che si ripercuotono sulla modificazione delle dinamiche fisiologiche e biochimiche.
Così elaborato il senso del nostro vivere, esso si può dilatare e alleggerire entrando in una dimensione di pura vitalità tesa all’autoconoscenza.
Non vi sarà niente di più benefico ed efficace per il nostro sviluppo che non la vita stessa.
Le esperienze della vita e di noi stessi potranno diventare il progetto stesso di autocompimento, e solo l’incontro pericoloso, per le contigenze della vita, con il nostro anomalo istinto di autotutela delle abitudini, ci potrà far considerare l’invecchiamento come decadenza e morte quando potrebbe essere il continuo sviluppo del nostro essere: “Esperimento”.
(Liberamente elaborato da “Il Cervello Anarchico” di Enzo Foresi)