Come trovare il coraggio di cambiare le cose

 

Qui e subito

Non ci si può nascondere che lo sforzo necessario per attuare quella che potremmo chiamare “rivoluzione culturale” è gigantesco. Il tentativo non può non coinvolgere l’essere umano nella sua totalità. Nel suo pensiero come nelle sue consuetudini, nei rapporti affettivi come in quelli economici, nei desideri e nei bisogni. Tutto deve essere, e in ogni momento, rivalutato e rifondato.
Non ci si stupisce pertanto se anche i più fiduciosi di noi tendono a caricare questo sforzo sulle spalle delle generazioni che verranno. I nostri figli, si dice con cauto progressismo, costruiranno un mondo migliore. E noi, intanto, ci limitiamo a sperare.

Non mi sembra che questo sia giusto e sono convinto che il primo passo lo dobbiamo fare noi e subito. Siamo noi che dobbiamo rinnegare la realtà in cui viviamo e che dobbiamo proclamare il nostro stato di mobilitazione contro questa realtà. Non credo che ci sia lecito aspettare oziosamente che altri, dopo di noi, realizzino l’ipotesi di un capovolgimento del mondo attuale. Dobbiamo essere noi i primi a mostrare la nostra fede nella possibilità di un distacco dalla condanna storica all’infelicità e la nostra capacità a realizzare tale distacco.
La tentazione di affidare alle generazione future la traduzione di sogni in realtà, di assegnare loro il compito di tentare ciò che noi non ci sentiamo di tentare, è senza dubbio fortissima. Ma se cederemo alla tentazione rinunceremo alla nostra funzione storica, la quale, forse, consiste proprio in questo: chiarire il fallimento del passato e del presente e fornire modelli di comportamento suggeriti da un futuro diverso.

Il metodo

Questa è la sfida che l’attuale momento lancia alla nostra generazione. È una dura sfida che di certo preferiremmo non raccogliere, tanto più che, accettandola, ci troveremmo davanti all’immane problema del metodo.
Un problema, dobbiamo pure confessarlo, che ci coglie del tutto impreparati. Condizionati come siamo dall’inconscia volontà di non affrontare la lotta, non abbiamo mai preso in considerazione l’opportunità di riflettere su quanto si possa e si debba fare. E coloro che ci hanno pensato, che pure ci sono e fanno sentire la loro voce, cerchiamo di non conoscerli. Evitiamo con ogni cura di avere contatti con il loro pensiero, rifiutiamo senza conoscerle le loro idee, respingiamo a priori le loro proposte. E ci ostiniamo in un’incessante fuga all’indietro, verso le ideologie che appartengono a una storia più o meno remota, verso la confortevole culla delle teorie già tradotte in pratica delle quali crediamo di poter dimostrare, dati alla mano, l’insuccesso o il successo, a seconda della loro validità come argomenti per dimostrare l’inutilità di ogni nostro eventuale sforzo.

Come sempre, anche quelli forniti della più grande volontà esigono la ricetta! Una ricetta precisa e particolareggiata, che risparmi la fatica dell’inventare e della pura responsabilità nel proprio buon senso innato.
Ma la storia non dà ricette e non ne dà nemmeno la cultura. L’una e l’altra impongono in tutti i casi un’elaborazione di creatività e autoconoscenze, faticosa e spesso deludente.
E poi, mi sembra evidente che per dar vita a un mondo nuovo non si può far leva sulle metodologie di un mondo vecchio. Dobbiamo renderci conto che per attuare un vero progresso non abbiamo esperienze, né indicazioni, né precedenti sfruttabili. Il metodo lo dobbiamo inventare!!
Cosa che il nostro senso comune e la cultura diffusa dell’immobilismo considerano naturalmente come pura follia.

Limitiamoci a dire questo: che secondo il nostro vetusto costume l’uomo si rifiuta quasi sempre di ammettere che l’organizzazione sociale da lui stesso creata o in cui si ritrova gli ha rubato la sua umanità e la sua anima!
Egli seguita a mentire, a se stesso e agli altri, instancabilmente. E con questa bugia egli si studia di motivare la sua propensione a non immaginare mai niente di nuovo. In particolare a non inventare un metodo rivoluzionario. Tutt’al più si consente alla riforma, realizzata secondo i metodi ormai logori. E si dichiara che questa è l’unica strada ragionevole, sia perché non è necessario fare di più, dato che la nostra condizione attuale non è poi tanto male, sia perché più di tanto non si può fare, dato che non è mai stato fatto…..

(liberamente tratto dagli scritti di Marcello Bernardi)

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