A partire dalla fine delle glaciazioni, circa 9000 anni prima di Cristo, nei territori del Mohenjo Daro, in Harappa, nella vallata dell’Indo, in Pakistan e nel Panjab attuale, si sviluppò, assieme alla civiltà Dravidica, il culto di Shiva, nel quale diverse tradizioni videro il Signore degli Yogin (Yogindra), primevo Maestro, e al quale si fa risalire la trasmissione dell’Hatha Yoga.
Le ultime scoperte del Mohenjo Daro hanno dimostrato che i Dravidi furono un popolo di marinai avanzato nelle arti, nei mestieri e nella civiltà, le rovine delle loro città mostrarono un’urbanistica molto raffinata, sistemi di pesi e di misure sofisticati, i loro geroglifici sono ancora oggi oggetto di studio.
Naturalmente parallelamente a tutto ciò in questa civiltà esistevano sistemi filosofici e di conoscenza dell’uomo profondissimi, secondo la tradizione, in seno allo Shivaismo e alle sue radici sciamaniche e ritualistiche nacquero delle scuole dette Tantriche, i cui insegnamenti, mantenuti segreti, si trasmettevano esclusivamente per via iniziatica da maestro a discepolo.
Tali profonde conoscenze e pratiche segrete del Tantrismo Shivaita divennero la fonte di tutte le correnti Yoga ulteriori adottate dalle tradizioni successive, anche Vedica e Upanishadica, influenzando inoltre il Buddismo mahayana, le discendenze tibetane, il Ch’an Cinese, le relative arti marziali e lo Zen giapponese.
Tra le pratiche e i contenuti tantrici più antichi, che solo molto più tardi vennero scritti in sanscrito, conosciamo il fondamentale “Vijnanabhairava tantra” (tantra della conoscenza suprema), probabilmente la summa più straordinaria di metodi yogici mai riunita, nessun testo ulteriore, in nessuna scuola, offre allo yogin un ventaglio così variegato. Questa singolarità deriva dal fatto che lo Yoga tantrico non è soltanto “la via dell’arresto dell’attività automatica del mentale”, come definirà poi Patanjali nel celebre Yogasutra, ma uno Yoga, come evidente nel “Vijnanabhairava tantra”, che utilizza quale via mistica verso l’Assoluto lo spettro integrale dei pensieri, delle emozioni, dei sentimenti e delle sensazioni del ricercatore spirituale situato dentro il pullulare della realtà quotidiana.
Comunque lo Yoga non è estraneo alla nostra eredità razziale, la lingua in cui sono scritti i più antichi documenti sullo Yoga è il sanscrito, il linguaggio dei nostri avi indoeuropei.
Parole come pitr (pater-padre), vidhava (vedova), manas (mens-mente), dimostrano la nostra parentela con i primi esploratori del sentiero Ariano.
La civiltà Dravidica, di cui sopra, raggiunse il suo apice tra il 6000 e il 2000 a.C. data delle invasioni Ariane, che segnò l’inizio della tradizione Vedica.
Gli Ariani invasero progressivamente il nord dell’India, riducendo in schiavitù le popolazioni indigene ma senza arrivare a sradicare quella formidabile cultura mistica e di conoscenza che era lo Shivaismo, di cui assorbirono lentamente un gran numero di elementi, e che si ritrovano poi infatti nella Bhagavad-Gita (considerata come la Bibbia per gli Indù).
La nuova popolazione creatasi appunto dall’unione degli invasori Ariani con le popolazioni dei territori del nord dell’India si dedicò alla ricerca e alla speculazione filosofica sui temi dei misteri dell’esistenza, e facendolo con alti risultati.
Questi antichi rishi furono straordinari osservatori della natura, sperimentatori dell’essenza dei limiti dell’uomo e delle sue complesse relazioni con le realtà, dalle loro realizzazioni e dalla loro tradizione orale, nacquero i testi sacri indiani rimasti come i più antichi (anche se nessuno sa quando furono composti, né mai lo si saprà): i quattro Veda (RigVeda, SamaVeda, YahurVeda, AtharvaVeda), tutta la filosofia induista si fonda sulla sacralità delle realizzazioni contenute nei Veda.
Dai Veda nacquero i Bramana e le Upanishad, i primi sono libri di testo per i riti sacerdotali, i secondi, che ci interessano di più come studiosi dello Yoga, contengono le pratiche destinate a coloro che abbandonavano il mondo ed esploravano i misteri dell’esistenza in eremitaggi, lontani dalla vita dell’umanità.
Upanishad significa “sedere insieme”, e si riferisce a quell’ambito fondamentale che era l’intimità dell’insegnamento tra maestro e discepolo.
Il tema centrale delle Upanishad è la ricerca della verità della realtà, si pensa esistano 180 Upanishad e dieci di esse sono le più antiche e autorevoli, si suppone che siano state scritte tra il 1000 e il 300 a.C. ma nulla si conosce dei loro autori, che alcuna notizia lasciarono di loro ai posteri.
In seguito poi, nella filosofia induista, si iniziò (dal 550 a.C. al 1000 d.C.) a cercare di riorganizzare l’immensa mole di informazioni prodotta dal periodo Vedico attraverso sei differenti sistemi di visione della realtà, i Dharshana (Vedanta, Purva-Mimamsa, Nyaya, Vaisesika, Samkhya e Yoga). Ogni dharshana rappresenta quindi un punto di vista metafisico della filosofia indiana, scaturito dalla sapienza Vedica: nessun darshana, cioè, inventa autonomamente un sistema, ma produce un approccio particolare ad un tema o aspetto già apparso nei Veda.
Ecco allora che lo Yoga costantemente e concretamente ha esercitato un influsso enorme sulla scienza dell’uomo e sulla cultura spirituale indiana; ancora e ufficialmente con il Dharshana “Yoga Sutra” di Patanjali – (vissuto probabilmente tra il IV e V secolo d.C.) – che ordinò la dottrina e
sintetizzò nei suoi 194 aforismi (Sutra) l’essenza della disciplina dello Yoga rendendola sistema ortodosso della filosofia indù e della ricerca spirituale indiana.
Tantissimi altri testi antichi sullo yoga esistono o furono redatti, tra i più fondamentali, e che interessano da vicino le pratiche Yogiche, oltre al già presentato Vijnanabhairava tantra, citiamo l’Hatha Yoga Pradipika, la Gheranda Samhita e la Shiva Samhita.